CREDERE, DUBITARE, CONOSCERE

Tu non credere mai all’imperatore. Claudio Chieffo

 

MARCELLO LANDI

 

1. PREMESSA

   Chi mi conosce potrebbe provare una certa sorpresa, leggendo la frase che ho scelto come esergo. “Ma come?” mi dirà “Tu vieni da Forlì, roccaforte ghibellina nella storia d’Italia, e ci esorti a diffidare dell’Imperatore?”. Occorre quindi qualche spiegazione. Tu non credere mai all’imperatore è un verso di Martino e l’imperatore, una canzone di colui che è generalmente ritenuto il più importante cantautore cristiano della fine del XX e dell’inizio del XXI secolo, Claudio Chieffo, anch’egli forlivese, scomparso nel 2007. Molti suoi canti vengono intonati nelle più varie occasioni, spesso senza neanche sapere chi li abbia composti.

   Martino e l’imperatore è un commovente esempio del ben noto genere della “lettera al figlio”: Martino, in questo caso. Ed è tanto più commovente oggi, quando Claudio ci ha ormai lasciati (si pensi al verso: tienti stretto alla mia mano, anche se non ci sarà). In essa, il padre non parla certo al figlio dei tempi dei Guelfi e dei Ghibellini, ma lo esorta a diffidare dell’ideologia di volta in volta dominante, per quanto fondata su premesse apparentemente belle e valide: come esempio, Chieffo cita società, onore, popolo, amore. Dunque, l’imperatore non indica una carica politica (non per niente è scritto con la lettera minuscola), ma è la metafora di tute le menzogne ufficiali che ci vengono propinate.

   La conoscenza della verità può essere raggiunta solo se, magari dopo averle credute, le mettiamo in dubbio… Del resto, l’esortazione a rinunciare alla falsa presunzione di sapere ci accompagna attraverso tutta la storia della filosofia, da Socrate a Ruggero Bacone all’attuale epistemologia.

   Proprio di storia della scienza mi devo occupare: intendo sostenere che il mito oggi spesso ripetuto di una presunta inconciliabilità tra scienza e fede cristiana è falso: anzi, non solo esse sono conciliabili, ma, come affermano i maggiori esperti contemporanei di storia della scienza, è stato proprio il Cristianesimo a favorire la nascita e lo sviluppo della scienza in Occidente.

 

2. INTRODUZIONE

   Credere è un’attività indubitabilmente umana, fondata sulla comunicazione stessa. Se non fossimo portati a credere alle persone con cui dialoghiamo, non avrebbe senso parlare. Ne consegue che anche dubitare, dubitare di ciò in cui si crede o si è chiamati a credere, è un’attività certamente umana. Allo stesso modo è pienamente umano anche il desiderio di conoscere…

   La società in cui nasciamo ci propone alcune informazioni o giudizi come realtà stabilite. Ciò è normale. In questo meccanismo di per sé fisiologico, si inseriscono spesso, però, - e saperlo ci spinge a diffidare delle “verità ufficiali”, ci spinge ad indagare, ci spinge alla ricerca della verità - per accidente o per interessata volontà di qualcuno, informazioni o giudizi sbagliati, o quanto meno parziali. I possibili esempi sono tanti: mi limito a citarne solo alcuni.

   2.1. Katyń

   Il primo esempio è il massacro di Katyń. Come sappiamo, la Polonia, nel 1939, è invasa sia dai Tedeschi (1° settembre) sia dai Sovietici (17 settembre). Ci sarebbero diverse questioni (compresa la domanda sul motivo per cui Francia e Gran Bretagna si siano, in seguito a ciò, trovate in guerra contro la Germania, ma non contro l’URSS), alcune delle quali si possono trovare anche in Wikipedia (voce Campagna di Polonia, sezione Miti). Ma, per non complicare troppo il discorso, è meglio limitarsi a parlare di Katyń. Decine di migliaia di prigionieri polacchi, molti dei quali ufficiali, vengono qui massacrati dai Sovietici. Dopo l'invasione tedesca dell'URSS (giugno 1941), il governo polacco (in esilio a Londra) e quello sovietico si accordano per la costituzione di un Corpo d'Armata polacco in appoggio all’Armata Rossa. Quando il generale Władysław Anders, all’uopo, richiede informazioni sugli ufficiali polacchi prigionieri, Stalin si limita a risposte evasive, sostenendo che molti erano forse fuggiti in Manciuria. La verità viene a galla, quando i Tedeschi, occupata anche la zona di Katyń, scoprono le fosse comuni. Anders rifiuta di combattere insieme ai Sovietici e si unisce ai Britannici sul fronte italiano, dove i “suoi” Polacchi compiono imprese memorabili, ad esempio a Montecassino o nell’attraversamento dell’Appennino Tosco-Romagnolo, in direzione di Forlì, spianando la strada ai Britannici per l’operazione, a cui Churchill molto tiene per il grande valore simbolico, di liberare la “Città del Duce”. Di tali imprese, però, poco si dice nei libri di storia, perché il generale è sgradito ai Sovietici, e Stalin è uno degli Alleati...

   La verità su Katyń è di breve durata, perché, dopo la fine della Guerra, dato che la Polonia è entrata nell’orbita sovietica, quel massacro può creare tensioni fra Polacchi e Russi. Così, la versione ufficiale, sostenuta non solo dal governo di Mosca, ma anche da quello di Varsavia, nonché da tutto l’apparato propagandistico comunista, è che l’eccidio degli ufficiali polacchi sia da attribuire ai nazisti. La stessa Accademia di Scienza Medica dell'URSS appoggia (naturalmente!) la tesi della strage nazista, dopo un’apposita inchiesta. La scienza si è pronunciata. Come dubitare?

   Solo con Michail Gorbačëv le cose cambiano: nel 1989, storici sovietici rivelano che il massacro è stato ordinato da Stalin; l’anno dopo Gorbačëv chiede ufficialmente scusa alla Polonia. Lo stesso regista polacco Andrzej Wajda, il cui padre è morto a Katyń, può dedicare un film all’argomento solo dopo la caduta del comunismo, con la conseguente possibilità di effettuare libere ricerche… Ma, intanto, quanta gente ha creduto all’inganno? E quanti hanno mentito sapendo di mentire?

   2.2.  La mafia non esiste

   Un secondo esempio, questo relativo all’Italia e all’Occidente, è la convinzione, da più parti sostenuta come ufficiale dopo la Seconda Guerra Mondiale: “La mafia non esiste”. È in realtà l’espressione di una linea politica che favorisce non solo gli interessi mafiosi, ma anche quelli legati alla collocazione internazionale dell’Italia durante la Guerra Fredda. Non dobbiamo dimenticare che la mafia: durante la Seconda Guerra Mondiale, si è dimostrata antifascista e filoamericana; nel Dopoguerra, è apertamente anticomunista. Come si vede, si tratta di indubbi “meriti” (anche verso la NATO!), che le garantiscono un certo “diritto” ad operare in regime di sostanziale impunità. Ma, anche di fronte a una simile “bugia ufficiale”, rimane sempre la possibilità di pensare con la propria testa, la possibilità di non credere. È il caso, ad esempio, di Giovanni Falcone, che, quasi un quarto di secolo dopo la fine della Guerra, deve combattere non solo contro la mafia, ma anche contro il pregiudizio della sua inesistenza. Da parte mia, ricordo che nel 1979 alcuni colleghi mi chiesero: “Ma tu credi davvero che la mafia esista?” [Falcone, p. 104].

   2.3. Pio XII e il nazismo

   Il terzo esempio, più recente e più delicato, riguarda il discusso rapporto di Pio XII col nazismo. Fino alla sua morte (9 ottobre 1958), le fonti - compresi giornali ebraici come: The Palestine Post, Jewish Chronicle (di Londra), Canadian Jewish Chronicle, California Jewish Voice, ecc. - sono sostanzialmente concordi nel sottolinearne gli interventi contrari al razzismo ed in difesa degli Ebrei. Un esempio: l’organizzazione clandestina San Raffaele faceva fuggire gli Ebrei lungo il percorso Germania-Italia-Portogallo (o Svizzera). Il responsabile romano, che forniva denaro e passaporti, era padre Anton Weber, “per nome e conto di Pio XII” (testimonianza di Giancarlo Centioni, ZENIT, 14/01/10). Dagli anni Sessanta, si diffondono giudizi negativi su Pio XII (benché contrastati con decisione da Ebrei come E. Pinchas Lapide), tanto che oggi l’opinione vulgata su questo Papa è piuttosto sfavorevole. Gli sono perfino state attribuite simpatie per il nazismo! Ed anche allo Yad Vashem di Gerusalemme, il museo a ricordo delle vittime della Shoah, la foto di Pio XII è stata esposta con una didascalia polemica. Che cosa dobbiamo credere? In realtà, Pio XII non solo è antinazista, è anche anticomunista. Ed ecco che la spiegazione del proliferare dei giudizi negativi ci giunge da Ion Mihail Pacepa, generale della “Securitate”, i servizi segreti (sezione esteri) del dittatore rumeno Ceausescu, espatriato all’inizio degli anni ottanta […] Pacepa rivela che all’inizio degli anni Sessanta era stato incaricato “di contribuire a una campagna diffamatoria contro Pio XII, che il KGB stava montando su ordine di Krushev in persona… Lo scopo era di minare l’autorità della Santa Sede nell’Europa occidentale, mostrandola come un bastione del Nazismo” [ZENIT, 25/11/09]. Di conseguenza, molte delle indagini più recenti, come quelle condotte dal rabbino conservatore David Dalin o dalla fondazione Pave the way, presieduta dall’ebreo americano Gary Krupp, contestano la visione negativa dell’opera di Pio XII. Il quale, nell’allocuzione del 2 giugno 1945, così dice ai Cardinali: “Continuando l’opera del Nostro Predecessore, Noi stessi durante la guerra non abbiamo cessato, specialmente nei Nostri Messaggi, di contrapporre alle rovinose e inesorabili applicazioni della dottrina nazionalsocialista, che giungevano fino a valersi dei più raffinati metodi scientifici per torturare o sopprimere persone spesso innocenti, le esigenze e le norme indefettibili della umanità e della fede cristiana. Era questa per Noi la più opportuna e potremmo anzi dire l’unica via efficace per proclamare in cospetto del mondo gl’immutabili princìpi della legge morale e per confermare, in mezzo a tanti errori e a tante violenze, le menti e i cuori dei cattolici tedeschi negli ideali superiori della verità e della giustizia. Né tali sollecitudini rimasero senza effetto. Sappiamo infatti, che i Nostri Messaggi, massime quello Natalizio del 1942, nonostante ogni proibizione ed ostacolo, furono fatti oggetto di studio nelle Conferenze diocesane del Clero in Germania, e poi esposti, e spiegati al popolo cattolico”.

   2.4. falsità nella scienza

   Ma forse le falsità trovano posto nella storia, nella società, e non nella scienza? A parte l’esempio dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, citato sopra, anche qui si potrebbero dire tante cose. Il genetista Giuseppe Sermonti fa notare Chi guarda la scienza dal di fuori crede che gli scienziati si ingegnino a trovar teorie che si accordino con i loro dati. Accade spesso proprio il contrario […] e cioè che essi si affannino a forzare i loro dati entro una teoria preconcetta [p. 60]. Il biologo Jonathan Wells è un testimone diretto della durevole sopravvivenza di falsità nell’insegnamento scientifico. Scrive Wells: Fu solo quando stavo finendo il mio dottorato in biologia della cellula e dello sviluppo che notai ciò che all’inizio avevo scambiato per una strana anomalia. Il libro di testo che stavo usando utilizzava soprattutto disegni di embrioni vertebrati, pesci-polli-umani, ecc., dove le somiglianze erano presentate come prova della discendenza da un antenato comune. Effettivamente i disegni erano molto simili. Ma avevo studiato embrioni per un bel po’ di tempo osservandoli al microscopio, quindi sapevo che i disegni erano sbagliati. Ricontrollai tutti i miei altri libri di testo. Tutti avevano disegni simili e ovviamente erano tutti sbagliati. Non solo distorcevano gli embrioni che rappresentavano, ma omettevano i primi stadi in cui gli embrioni sono molto diversi gli uni dagli altri […] Ritenendola ancora una circostanza eccezionale divenni curioso di veder se riuscivo a trovare altri errori nei testi comuni di biologia che trattano l’evoluzione. La mia ricerca, però, rivelò un fatto allarmante: lontano dall’essere una eccezione, queste evidenti mistificazioni spesso sono la regola […] le chiamo «icone dell’evoluzione» perché così tante sono rappresentate da consuete illustrazioni classiche che, come i disegni di Haeckel, hanno servito anche troppo bene al loro scopo pedagogico: fissare la disinformazione sulla teoria evolutiva nella mente del pubblico. Rincara Sermonti: Ernst Haeckel allineò una serie di fantasiose forme animali, facendo di ognuna il feto della successiva, e offrì una tale sequenza come percorso dell’evoluzione, enunciando la sua nota legge: “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi” [pp. 128-129]. Ritengo che non ci sia bisogno di commenti. Ma ci rimane inevitabilmente una domanda: Che cosa ci fanno credere, allora?

 

3. LA FEDE E LA SCIENZA

   3.1. PREGIUDIZI E “STORIOGRAFIA POLITICA”

   Una delle pseudo-verità oggi sostenute in vari ambiti è la pretesa incompatibilità tra fede cristiana e scienza. La tesi è apertamente o implicitamente sostenuta sia in opere d’immaginazione (romanzi, film, ecc.) sia in saggi. Ma è la verità?

   Proprio per sostenere questa incompatibilità, si è voluto dire che la scienza non esistesse nel Medio Evo (in quanto epoca dominata dalla Chiesa), e che sarebbe nata solo con l’età moderna e contro la Chiesa. Il che presuppone un ulteriore pregiudizio, l’opposizione fra Cristianesimo e modernità, pregiudizio su cui mi limito a rimandare alle interessanti riflessioni di René Girard e Gianni Vattimo, nelle quali si mostra che la modernità, come costruita e intesa dall’Occidente europeo, è sostanzialmente un portato del Cristianesimo: Vattimo ha anche affermato, in più di una occasione, che gli stessi principii della rivoluzione francese sono cristiani… Ma torniamo al tema.

   Il Medio Evo, secondo la pseudo-verità di cui stiamo parlando, deve venire descritto come un’epoca oscura e statica. Fa notare Cecilia Pietropoli, studiosa di letteratura medievale e della ricezione romantica del Medio Evo: viene dato grande rilievo ad una immagine artificiosa di Medio Evo, derivante dall’idea illuminista di un’età oscura e ripresa nel XIX secolo, viene dato rilievo cioè alla diffusa rappresentazione romantica del Medioevo come epoca statica e tradizionalista […]. A tale presunto immobilismo i romantici tuttavia attribuivano, al contrario degli illuministi, valenza positiva. Come si vede, il pregiudizio, pur di segno diverso, era identico. Gli studi sul Medio Evo smentiscono oggi tale pregiudizio, ma stentano ad essere recepiti dalla cultura comune. Il medievalista Jacques Le Goff si rammarica: La florida scuola francese di medievistica, nonostante i suoi successi scientifici, non sembra essere riuscita a cambiare niente nei media e nelle idee di fondo che vengono trasmesse. A volte mi scoraggio nel ritrovare intatti i due luoghi comuni ereditati dal XVIII e XIX secolo […] Infestano film, romanzi storici, pubblicità [p. 7]. Anche persone colte sono ancora legate ad approssimazioni che erano superate quando ero ragazzo [p. 8]. Insomma, è difficile far cambiare idea all’imperatore!

   Occorre, peraltro, essere consapevoli della soggettività e della contingenza storica dei fenomeni critici; è dunque innegabile che la rappresentazione romantica del Medioevo fu frutto dell'ideologia contemporanea [Pietropoli], cioè dei secoli che l’hanno elaborata.

   Come spiega Alistair Cameron Crombie, infatti, i giudizi valutativi sul passato sono utili più per capire l’epoca che li formula che quella giudicata: Si può fare molta luce sugli orientamenti intellettuali della società europea per mezzo delle sue mutevoli opinioni verso il proprio passato e dei programmi che da ciò sono derivati. […] Quando i filosofi descrivevano se stessi nel dodicesimo secolo come nani sulle spalle dei giganti di Grecia e di Roma o, come Ugo di San Vittore e Ruggero Bacone, intravvedevevano la restaurazione della somiglianza divina nell’uomo caduto nella restaurazione delle arti e delle scienze, o cercavano, nei secoli quindicesimo e sedicesimo, la guida di una sapienza ‘ermetica’ di presunta antichità mosaica, o nel diciassettesimo secolo insistevano nell’affermare che essi stavano costruendo qualcosa di interamente nuovo, facevano tutti valutazioni del passato che comportavano programmi per l’azione futura. Lo stesso si applicava all’uso valutativo di termini storici come Evo oscuro o medio, Rinascimento, Riforma, nuova filosofia, Illuminismo e così via. Questi termini possono dirci di più relativamente ai periodi in cui furono inventati che riguardo a quelli cui si riferiscono [p. 21].

   È pur vero, poi, che La storiografia è un dialogo tra un presente che interroga ed un passato che viene interrogato [p. 24], ma: Se nello smantellare la storia scritta a loro immagine dalle generazioni precedenti, ciascuna generazione la riscrive a modo suo, noi siamo obbligati dall’intero processo critico della cultura a distinguere l’evidenza dall’interpretazione [p. 26].

   Va quindi smascherata, sul rapporto tra Cristianesimo e scienza, quella che Crombie chiama storiografia politica: La storiografia è un’arte volta alla ricerca della verità reale e particolare. La storiografia politica, al contrario, è una forma conosciuta di arte del racconto a guisa di verità, che in una lunga tradizione ha guardato non alla verità ma all’effetto. Il suo obiettivo non è stato quello di scoprire e capire cosa sia accaduto di fatto, ma quello di presentare una ricostruzione degli eventi volta a promuovere o a giustificare l’azione politica. Essa cerca dunque, mediante la distorsione e la soppressione dell’evidenza o mediante altri artifici retorici di camuffamento, di promuovere una linea di parte, o forse di promuovere l’autore stesso, sfruttando la fiducia su cui una vera repubblica delle lettere deve fondarsi [p. 29].

   Esistono dunque tre livelli di studio della storia: l’evidenza, da perseguire sempre, pur tra le molte difficoltà oggettive; l’interpretazione, che varia anche in base ai problemi ed alla mentalità di chi indaga; l’ideologia o il bieco interesse, che portano a quelle mistificazioni che Crombie chiama storiografia politica. Questa va sempre denunciata e respinta, in quanto, a vario titolo, faziosa. Naturalmente, potrebbe esistere un significato più nobile dell’espressione storiografia politica, ad esempio quello di storia delle dottrine politiche, o delle istituzioni politiche. Non è certo questo il senso che Crombie intende, come si vede dalla sua definizione.

   3.2. Medio Evo statico E OSCURO?

   Una forte obiezione al pregiudizio di un Medio Evo statico viene dal filosofo di formazione marxista, poi voltosi verso l’etica di Aristotele, Alasdair MacIntyre: Di tutti i modi di pensare mitologici che ci hanno nascosto la vera immagine del Medioevo, nessuno è più fuorviante di quello che raffigura una cultura cristiana unificata e monolitica, e questo non solo perché le conquiste del Medioevo furono anche ebraiche e islamiche. La cultura medievale, se mai fu un’unità, lo fu in quanto equilibrio fragile e complesso di una molteplicità di elementi disparati e conflittuali [MacIntyre, p. 208]. Il Medio Evo, insomma, non è come ci viene solitamente descritto, e certamente non è affatto statico! Era almeno oscuro, come gli storici umanisti, a partire da Flavio Biondo, hanno voluto rappresentarlo?

   Una grave perplessità, su questo, è avanzata da Edward Grant, uno dei più illustri studiosi contemporanei di storia della scienza: Il periodo medievale nell’Europa Occidentale è stato molto sottovalutato, e persino calunniato [Grant, 2001, p. 302]. Causa di queste calunnie, prosegue Grant, sono state le polemiche che, all’inizio dell’età moderna, segnano il sorgere di una nuova mentalità, la quale, pur di farsi strada, denigra in tutti i modi quanto la precedeva. Ad esempio: mediante la figura di Simplicio, col suo genio letterario ed artistico, Galileo creò una potente caricatura che fu estesa a tutti i filosofi naturalisti aristotelici: non solo a quelli del secolo XVII, ma – retrospettivamente – anche a quelli vissuti nel Medioevo [p. 303]. Va da sé che i filosofi naturalisti medievali realmente esistiti sono ben lontani dal somigliare al Simplicio galileiano! Altri autori “moderni” insistono su questa linea polemica, come Locke, che definì lo scolasticismo poco più che una vana ginnastica mentale. In più, la condanna di Galileo da parte dell’Inquisizione aggravò enormemente la situazione [p. 304]. Noi, oggi, quindi, siamo gli eredi di una furiosa polemica, di cui ascoltiamo, però, solo una delle parti. Ne risulta l’inadeguatezza della nostra valutazione storica.

   3.3. filosofia nel Medio Evo

   La situazione è simile a quella creatasi, in età positivista, per la filosofia: secondo le dottrine ufficiali, nel Medio Evo non vi è filosofia, né vi può essere, a causa della fede: la filosofia, morta con Plotino, rinasce in età moderna: naturalmente, con pensatori differenti, a seconda dei vari partiti nazionali: per i Francesi, ad esempio, con Cartesio. Poi, però, un personaggio come Gilson comincia a studiare le fonti di Cartesio… e, con grande stupore, si accorge che, nel Medio Evo, non solo si pratica la filosofia, ma, com’egli dice, lo si fa perfino con tecniche e con argomenti migliori di quelli di Cartesio stesso! Questa è la verità che Gilson scopre coi suoi studi, ma, nel dirla - egli ci fa notare - sta violando un tabù.

   3.4. scienza nel Medio Evo

   In ugual modo, circa un secolo fa, Pierre Duhem, viola un tabù sulla scienza nel Medio Evo. In effetti, già gli studi su Leonardo da Vinci - alla fine del XIX secolo - hanno portato dapprima a riconoscere un debito di Galileo verso di lui, poi quelli di Leonardo verso i suoi predecessori medievali [Cf. Jaki, p. 462], ma Duhem fu il primo studioso a scuotere la polvere dei secoli da una quantità di codici manoscritti che per lunghissimo tempo erano rimasti inesplorati. Ciò che vi scoprì lo indusse a fare la sorprendente affermazione che la Rivoluzione Scientifica […] era stata soltanto un’estensione e una rielaborazione delle idee fisiche e cosmologiche formulate nel secolo XIV [Grant, 2001, pp. 3-4]. Ne nascono, va da sé, ampie polemiche: Duhem sfida l’imperatore! Va però, notato, che, nel frattempo (1925), anche Alfred N. Whitehead  giunge alla conclusione che il pensiero medievale, in particolare la teologia medievale, abbia grandemente contribuito alla nascita della scienza moderna, come spiega nelle prime pagine delle sue lezioni sulla scienza e il mondo moderno.

   Una bella testimonianza di Grant ci svela la propria iniziale adesione alle posizioni contrarie a Duhem, fino al sorgere dei primi dubbi e fino al porsi di una cruciale domanda: Il mio atteggiamento cambiò radicalmente quando, alcuni anni fa, mi chiesi se una rivoluzione scientifica avrebbe potuto aver luogo nel secolo XVII qualora il livello della scienza nell’Europa occidentale fosse rimasto immutato rispetto a quello raggiunto nella prima metà del secolo XII: […] no, essa non avrebbe [sic!] potuto avvenire [Grant, 2001, pp. 5-6]. Se studiamo meglio la storia della scienza, scopriamo, ad esempio, che: Il contributo degli studiosi medievali ebbe per oggetto le definizioni di velocità uniforme e di moto uniformemente accelerato, definizioni che più tardi Galileo impiegò senza apportarvi alcun miglioramento [Grant, 2001, p. 152], e naturalmente senza riportare le proprie fonti! In effetti, come fa ironicamente notare Woods, l’età moderna non si distingue particolarmente per l’acuto desiderio di riconoscere i propri debiti intellettuali. Newton, per esempio, dedicò un tempo considerevole, in vecchiaia, a cancellare il nome di Cartesio dai propri taccuini, per nascondere la sua influenza. Similmente, Cartesio non rivelò il proprio debito verso la teoria medievale dell’impeto […]. Copernico fece riferimento, nella propria opera, alla teoria dell’impeto, ma lo fece senza citare fonti [Woods, p. 92]. Oppure scopriamo che nel XIV secolo già si sostiene che due corpi di peso diverso cadano, nel vuoto, con uguale velocità, e che Galileo, nel suo trattato De motu, si serve di argomentazioni analoghe a quelle di Thomas Bradwardine o di Alberto di Sassonia [Grant, 1997, pp. 65-66; 2001, pp 138-139], così come scopriamo che già Nicola d’Oresme usa quel tipo di grafico che oggi chiamiamo “cartesiano”. O veniamo a sapere, e mi fermo qui solo per non dilungarmi troppo, che Il Medioevo lasciò in eredità alla scienza della prima età moderna anche l’ampia e sofisticata terminologia che stava a fondamento del discorso scientifico [Grant, 2001, p. 295]. Anche fisici del calibro di Oppenheimer, il responsabile del progetto statunitense per la costruzione della prima bomba atomica, riconoscono le basi medievali della fisica newtoniana [Cf. Jaki, p. 63]… Non è nemmeno infrequente che uno studio più approfondito ci porti oggi a rendere ragione del lavoro degli scienziati medievali. Un esempio molto chiaro è nel moto di un proiettile. Se ipotizziamo che il moto avvenga in assenza di attrito, sarà definibile come una parabola. Ma, negli studi medievali, la traiettoria non è certo una parabola: fino alla fine del Cinquecento, la traiettoria di una palla da cannone era spesso rappresentata […] da un segmento quasi rettilineo seguito da una parte in ripida discesa [La Rocca, p. 24] Orbene: Una simulazione del moto di una palla da cannone con forze di attrito realistiche dimostra, contrariamente a quanto spesso si crede, che la traiettoria risultante può essere in effetti molto simile a quella rappresentata nel Medioevo [p. 25]. Ma tutto ciò non viene di norma raccontato ai nostri studenti, poiché l’imperatore dice, piuttosto, il contrario!

   3.5. discredito dell’avversario

   Perché gli autori “moderni” non vogliono riconoscere i propri debiti?

   Abbiamo detto del clima polemico, potremmo aggiungere del pregiudizio antimedioevale dei rinascimentali o della rivolta contro il (rinascimentale) principio di imitazione che infuria in età barocca. Il risultato è che ci si affanna a rifiutare tutto ciò che possa essere ricondotto tanto al periodo medievale quanto alla Scolastica… o, quanto meno, a DIRE di rifiutarlo. Tra  l’altro, anche se non è il caso di occuparcene qui, gli esiti di questo comportamento non sono sempre brillanti…

   Ma c’è di più: Quasi altrettanto importanti che le dimostrazioni o le prove nella storia del pensiero scientifico sono state le argomentazioni volte alla persuasione […] Tanto Galileo quanto Cartesio erano maestri nelle correnti tecniche retoriche della persuasione [Crombie, p. 18]. Nella storia della scienza, non c’è sempre spazio per l’eleganza della discussione, per la serena valutazione degli argomenti: soprattutto quando si tratta di iniziare a credere in quelli che Kuhn chiamerebbe dei nuovi paradigmi, occorre provocare quasi un atto di fede nei colleghi scienziati e nel pubblico. E questo lo si fa con metodi forensi: uno classico consiste nel far apparire inattendibile il testimone avversario. Lo sanno bene, nota Crombie, parlando dell’Ottocento, anche autori come Lyell, che ha fatto pratica da avvocato e che appunto con abili argomenti da avvocato scredita il catastrofismo (teoria che, in realtà, non pare del tutto insostenibile, visto che ancora adesso la più probabile causa della scomparsa dei dinosauri è indicata nella caduta di un meteorite, la più tipica delle catastrofi!), o lo stesso Darwin, che ha formulato come un rapporto legale le sue argomentazioni per l’evoluzione mediante la selezione naturale [Crombie, p. 19].

   Ancora oggi la tecnica è la stessa: chi avanza dubbi sul darwinismo non viene considerato per gli argomenti che porta, ma viene, di norma, squalificato a priori! Eppure il dubbio, ci dicono, è il motore della scienza… Ma la “storiografia politica” preferisce, ideologicamente, non raccontare come siano andate le cose, ma come si vorrebbe che fossero andate!

   3.6. SCHEMI, NON FATTI

   Jaki, ad esempio, ci dice, non senza qualche ironia: i positivisti logici professavano per la scienza un’ammirazione tale da conferirle una caratteristica “atemporale”, riducendola così a pura logica e separandola dalla sua storia vera. Nel contesto di un’impostazione simile era perfettamente naturale insistere sul vecchio cliché secondo il quale la scienza era comparsa improvvisamente quando Galileo aveva buttato quei pesi dalla torre di Pisa e fatto rotolare quelle sfere per un piano inclinato. Questa rappresentazione ormai consacrata del Galileo logico empirico avrebbe potuto adattarsi a qualche cantuccio della logica, ma non certo ai fatti empirici della storia; se i positivisti logici fossero stati mossi da un interesse sincero per tali fatti, sarebbero stati scossi duramente verso la fine degli anni Trenta, quando attenti studi [p. es., Cooper e Koyré] misero in luce come Galileo non avesse mai fatto cadere pesi da nessuna torre, e avesse ricavato la legge della caduta dei gravi dipendente dal quadrato del tempo molto prima di fare esperimenti con sfere e piani inclinati [p. 332]. In verità, Giambattista Riccioli gettò ripetutamente, e pubblicamente, nel 1640, due sfere dalla Torre degli Asinelli di Bologna, ma la palla di piombo colpiva il terreno sempre prima di quella di legno [Heilbron, p. 235]! Il disinteresse per la storia reale è tale che ancora oggi la “rappresentazione” di Galileo non è molto cambiata! Come per gli embrioni di cui parla Wells, anche in questo caso si dovrebbe scrivere un saggio sulla sopravvivenza delle (imperiali) falsità…

   3.7. presupposti della scienza

   Il contributo medievale alla scienza moderna non si limita al genere di fondamenti ed anticipazioni di cui sopra: il Medio Evo creò, soprattutto, un ambiente culturale e sociale idoneo allo sviluppo della scienza. Come fa rilevare Nietzsche nella Genealogia della morale [III, 24], non esiste nessuna scienza priva di presupposti, ma le deve sempre preesistere una filosofia, una fede, che le dia una linea, un senso, un limite, un metodo. In effetti, nota Crombie, Credenze di generalità mutevole circa la natura del mondo hanno influenzato sia la percezione di problemi particolari, che l’accettabilità di specie differenti di soluzione [p. 14]. Sollecitazioni intellettuali dominanti hanno fatto sì che talune specie di problemi sembrassero cogenti, hanno fornito a certi tipi di spiegazioni il loro potere di convincere, e hanno escluso altre, poiché esse, prima di qualunque ricerca particolare, hanno stabilito il genere di mondo che si supponeva esistere e gli opportuni metodi di indagine. Le stesse sollecitazioni hanno stabilito in anticipo il tipo di spiegazione che avrebbe dato soddisfazione [pp.14-15]. Un esempio: Vere Gordon Childe (1892 – 1957, introdusse il concetto di rivoluzione neolitica), in un quadro di pensiero dominato dal marxismo, ritiene di dover spiegare perché gli uomini del Neolitico siano diventati sedentari, dicendo che motivo ne era il fatto che avessero introdotto l’agricoltura; la spiegazione è all’epoca considerata soddisfacente, perché la teoria marxista (influenzata dal pensiero borghese) sostiene che i mutamenti sociali siano determinati da cambiamenti nei mezzi e nei rapporti di produzione; negli anni Novanta del secolo scorso, periodo in cui si vogliono ormai abbandonare gli schemi marxisti, gli scavi di Jacques Cauvin mostrano ovviamente il contrario: l’uomo è diventato agricoltore perché era già sedentario! Ogni studioso è spinto a cercare certe cose anziché altre, perché mosso da certe convinzioni anziché da altre. Quando cambia lo scenario filosofico, si guarda il mondo (lo stesso mondo) in altro modo.

   3.8. PREMESSE CULTURALI: due tesi importanti

   Perciò è importante capire che genere di universo ci proponga il Cristianesimo, quale sia la sua visione della realtà. Se concepiamo un mondo come lo vede, ad esempio, Al-Ghazali, uno dei massimi pensatori dell’Islam medioevale, un mondo cioè in cui l’unica vera causa è un Dio impenetrabile e incomprensibile, è chiaro che le scienze naturali (la filosofia naturale) e perfino la matematica risultano pericolose per la fede. Ma il Cristianesimo, nella sua espressione prevalente,  non la pensa così, neanche quello medioevale [Cf. Grant, 2001, pp. 267-270]. Esso sostiene due tesi importanti: - che Dio abbia liberamente creato il mondo dandogli certe leggi invece di altre, il che implica che, per sapere quali leggi Dio abbia scelto di adottare, ci è necessario il ricorso all’esperienza; - che Dio abbia dato al mondo un assetto razionale e ordinato, il che implica un notevole incoraggiamento a compiere ogni sforzo per comprenderne le leggi. Se il mondo fosse irrazionale o si movesse al capriccio di un Dio volubile, che senso avrebbe la scienza? [Cf. Woods, pp. 87-98; Jaki, p. 56; quest’ultimo, anzi, nelle pagine immediatamente successive, fa notare un’ulteriore prova dell’abilità ideologica di molti storici, che riescono a trasformare un pensatore fideista come Occam, interessato soprattutto ad esaltare la potenza di Dio ed i suoi miracoli, nel profeta illuminato del metodo scientifico moderno! Anzi, proprio gli scienziati del Trecento, come Buridano o d’Oresme, erano sì nominalisti, ma non occamisti, secondo Jaki, dato che l’occamismo è oggettivamente contrario allo sviluppo della scienza.]. Sia le indagini storiche che la ricerca psicologica, specialmente quella condotta da Jean Piaget, hanno indicato il motivo per cui la scienza è sorta così tardi nella storia dell’umanità […] la scienza poteva avere origine solo al momento in cui l’uomo fosse riuscito a sviluppare una nuova convinzione metafisica. Questa convinzione, come si è visto, consiste nella certezza che, nonostante tutte le apparenze contrarie, la natura fosse intrinsecamente intelligibile [Cantore, pp.487-488].

   3.9. un progresso di natura endogena. PREMESSE SOCIALI

   Proprio sulla base di tali due tesi, il Medio Evo ha sempre ricercato attivamente ogni fonte di sapere, anche di origine pagana, come dimostra il bel saggio di Gouguenheim, dedicato al periodo precedente quello di cui si occupa soprattutto Grant: il progresso culturale e scientifico che anima l’Europa medievale dei secoli VIII-XII appare di natura endogena [pp. 215-216]. Non è corretto, quindi, dire che in Occidente siamo stati stimolati a sviluppare la scienza perché abbiamo incontrato la cultura araba; è il contrario: siamo andati incontro alla cultura araba perché eravamo interessati allo sviluppo della scienza. Lo storico inglese Guglielmo di Malmesbury (XII secolo) dice che Gerberto di Aurillac andò in Spagna, principalmente con l’intenzione di apprendere a fondo la scienza degli astri e tutte le altre scienze di quel tipo dai Saraceni [p. 198]. Guglielmo non ha in grande simpatia la persona di Gerberto, ma è interessato alla storia della scienza e della tecnica: ricorda, ad esempio, che, ai suoi tempi, era ancora possibile vedere, presso la cattedrale di Reims due realizzazioni del futuro Papa: un orologio fabbricato con arte meccanica e un organo idraulico [p. 201]. Così come volentieri ricorda un’impresa avvenuta nel secolo XI presso il proprio monastero: un confratello, preparatesi delle ali, come Dedalo, aveva volato per lo spazio di uno stadio e più [p. 282]. È la cultura fornita dalla Christianitas occidentale a spingere alla ricerca incessante ed alla critica, grazie anche agli interessi per la logica, per la disputa e per quello che oggi chiameremmo il “pensiero divergente”, tipici della mentalità medievale (e cristiana). Dice Crombie: il Cristianesimo ha portato l’Europa alla modernità ed alla rivoluzione scientifica. Parecchie delle categorie nelle quali noi in Occidente comprendiamo adesso tanto l’uomo che la natura […] non sono mai state accettate da tutta l’umanità, e sono divenute nostre soltanto attraverso un lungo processo di orientamento e riorientamento. […] Esistono paralleli illuminanti tra la diffusione all’interno di una società di idee scientifiche e di idee teologiche [p. 20].

   Sarebbe troppo lungo seguirne ora il discorso, ma segnalo solo che il saggio di Gouguenheim Aristotele contro Averroè è un ulteriore esempio di critica ad un pregiudizio di lunga data: quello sul rapporto di dipendenza dei progressi dell’Europa del basso Medio Evo dal mondo islamico. La tesi, infatti, si presenterebbe come un altro caso di storiografia politica, nel senso di faziosa e non aderente alla realtà: ad esempio, trascurerebbe altre fonti di conoscenza, come i rapporti con Bisanzio (Giacomo Veneto traduce dal greco in latino ben prima della stagione delle traduzioni dall’arabo [Cf. p. 115]). E trascurerebbe il fatto che i più attivi nel tradurre i testi classici in arabo non sarebbero stati i musulmani, bensì autori cristiani, spesso siriaci [Cf. p. 112]…

   Grant specifica ulteriormente: La creazione, nel Medioevo, di un ambiente sociale idoneo a consentire lo sviluppo, nel secolo XVII, di una Rivoluzione scientifica esigeva la presenza di almeno tre condizioni fondamentali: 1) la traduzione in lingua latina dei testi greco-arabi di scienza e di filosofia naturale; 2) la creazione delle università medievali; 3) l’emergere di filosofi teologico-naturali [2001, p. 256]. E chiarisce che senza l’approvazione della Chiesa e dei suoi teologi queste condizioni non si sarebbero date.

   Insomma, come nota Woods, Negli ultimi cinquant’anni, pressoché tutti gli storici della scienza – tra i quali A. C. Crombie, David Linberg, Edward Grant, Stanley Jaki, Thomas Goldstein e J. L. Heilbron – sono giunti alla conclusione che la rivoluzione scientifica debba molto alla Chiesa [p. 12]. Ed a questi si potrebbero aggiungere altri: Olaf Pedersen, Peter Hodgson, ecc. Nonostante questo, o forse proprio per questo, si è intensificata la campagna per convincere del contrario il grande pubblico! E dovremmo credere all’imperatore?

   Insomma, da un lato, sta il consiglio, generalmente attribuito a Voltaire: Infangate, infangate, calunniate, calunniate, qualcosa ne resterà! (cioè: l’avversario non riuscirà mai a liberarsi del tutto dalle vostre calunnie); dall’altro, un antico proverbio cinese: Tutto il buio dell’universo non riuscirà a spegnere la luce di una sola candela. A noi la scelta di quale fare nostro!

 

4. CONCLUSIONE

   Se, come si è visto, il Cristianesimo ha posto le condizioni teoriche e la Chiesa quelle pratiche perché potesse avvenire la Rivoluzione Scientifica, è falso ed ideologico sostenere l’opposizione tra fede cristiana e scienza: è frutto di una faziosa storiografia politica. Per correggerla, va piuttosto ricordato quel che rileva Heilbron: La Chiesa cattolica romana, più di ogni altra istituzione – probabilmente più di tutte le altre insieme – ha protetto e sostenuto economicamente lo studio dell’astronomia per oltre sei secoli […] fino all’Illuminismo [p. 3]. Proprio il progresso degli interessi fondamentali della Chiesa, come ad esempio quello di calcolare correttamente la data della Pasqua, ha avuto come risultato la promozione della scienza [Cf. Heilbron, pp. 31-46]. Anche dopo l’errore della condanna di Galileo, quando molti, come Bellarmino o Riccioli, riconoscevano la necessità, se si fosse provato il copernicanesimo, di cambiare l’interpretazione della Scrittura [Cf. p. 239], la Chiesa cattolica sostenne un gran numero di persone che si occupavano di scienza [p. 27]: cioè sfuggì alla tentazione di insabbiare il più possibile le ricerche e si assunse consapevolmente il rischio, per amore della conoscenza, di dover un giorno rivedere la propria posizione! Pio XII chiese una nuova biografia di Galileo allo storico Pio Paschini, che prese le parti di Galileo, ammise che la condanna era stata un errore e non perse occasione di criticare i gesuiti, sui quali fece ricadere la colpa dell’intero caso. [Cf. Heilbron, pp. 273-274]. I gesuiti, non occorre dirlo, se ne adontarono, ma questa è un’altra storia… Era il 1940, XVIII E.F.! Si tratta dunque di un’epoca ben precedente tutte le recenti polemiche, un’epoca, quindi, per usare un’espressione comune, non sospetta. Benedetto XVI, da parte sua, sostiene non esservi nessun conflitto all'orizzonte tra le varie conoscenze scientifiche e quelle filosofiche e teologiche [Messaggio del 26/11/09].

   A conferma del permanente interesse della Chiesa per la scienza, nei secoli XVII e XVIII alcuni grandi edifici di culto fungono anche da importanti osservatori astronomici. Esemplare è la figura di Gian Domenico Cassini: ottenuta a Bologna la prestigiosa cattedra già del grande matematico domenicano Egnazio Danti, uno dei membri della commissione per la riforma gregoriana del calendario, e del galileiano Bonaventura Cavalieri (pubblicamente copernicano), questo allievo dei gesuiti restaura e migliora l’osservatorio - costruito da Danti - nella Basilica di San Petronio, per dimostrare la validità del modello di Keplero [Woods, p. 120]. A questo punto, ci possiamo forse stupire che anche contemporanei architetti cattolici rendano spesso omaggio alle leggi di Keplero, dando a vari edifici di culto una pianta non a caso ellittica?

   Voler continuare a sostenere un’opposizione tra scienza e fede cristiana è frutto dunque di una pura storiografia politica. Ma di fronte ai cantori della falsa dottrina di volta in volta imperante dobbiamo sempre chiederci quale ideologia stiano servendo o quale interesse personale stiano perseguendo: il che ci porterà a diradare le nebbie che vengono artatamente sparse per diffondere l’ignoranza e la conseguente sudditanza, aiutandoci a cogliere quella verità che sola rende liberi!

 

5. UNA LAPIDE

   Il discorso ha preso avvio dal forlivese Claudio Chieffo: spero che mi si perdonerà se lo riconduco ad un altro Forlivese: Girolamo Mercuriali, celebre medico e filosofo del XVI secolo, insigne per gli studi sulla ginnastica, sulle malattie cutanee, sulla pediatria, ecc. Nel 1598, restaurò un’absidiola dell'antica Abbazia di San Mercuriale, a Forlì, facendone la "cappella Mercuriali". Vi è ancor oggi una lapide del 1906, che, quasi sintesi del mio discorso, così recita: Questo marmo ricorda ai posteri che i cattolici forlivesi il dì XI novembre 1906 commemorando presso la sua tomba GIROLAMO MERCURIALI riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede.

 

APPENDICE

Martino e l’imperatore [Parole e musica di Claudio Chieffo, marzo 1976: a Martino Chieffo]

Ti diranno che tuo padre era un personaggio strano,
un poeta fallito, un illuso di un cristiano;
ti diranno che tua madre era una sentimentale,
che pregava ancora Dio mentre si dovrebbe urlare…
Tu non credere mai all’imperatore,
anche se il suo nome è società, anche se si chiama onore,
anche se il suo nome è popolo, anche se si chiama amore.
Credi solo in nostro Padre,
che è venuto e che verrà
a portare la giustizia contro la malvagità.
No, non credere mai all’imperatore,
anche se il suo nome è società, anche se si chiama onore,
anche se il suo nome è popolo, anche se si chiama amore.
No, non credere alla scimmia e alla sua casualità,
tienti stretto alla mia mano, anche se non ci sarà.

 

BIBLIOGRAFIA

E. Cantore, L’uomo scientifico, EDB, Bologna 1987

A. C. Crombie, Stili di pensiero scientifico agli inizi dell’età moderna, Bibliopolis, Napoli 1992

G. Falcone, in collaborazione con M. Padovani, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli, Milano 1992

E. Gilson, Il filosofo e la teologia, Morcelliana, Brescia 1966

R. Girard – G. Vattimo, Verità o fede debole. Dialogo su cristianesimo e relativismo, Transeuropa, Massa 2006

E. Grant, La scienza nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1997

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S. Gouguenheim, Aristotele contro Averroè, Rizzoli, Milano 2009

Guglielmo di Malmesbury, Gesta Regum Anglorum, tr. it. Gesta Regum. Le gesta dei re degli Angli, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1992

M. Hasemann, Pio XII. Il Papa che si oppose a Hitler, Paoline, Milano 2009

J. L. Heilbron, Il Sole nella Chiesa. Le grandi chiese come osservatori astronomici, Editrice Compositori, Bologna 2005

Il II Corpo Polacco. Il contributo dei soldati del generale Anders alla liberazione dell'Italia, Volume monografico de Il Nuovo Areopago, n. 3/2008

S. L. Jaki, La strada della scienza e le vie verso Dio, Jaka Book, Milano 1994

P. La Rocca, F. Riggi, M. L. Torrisi, Moto di proiettili con attrito. I medievali non avevano del tutto torto, in Emmeciquadro n. 37 (dicembre 2009), pp. 23-31

J. Le Goff, Alla ricerca del Medio Evo, con la collaborazione di J.-M. de Montremy, Laterza Roma-Bari 2007

A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Armando Editore, Roma 2007

G. Sermonti, Dimenticare Darwin. Perché la mosca non è un cavallo?, Il Cerchio, Rimini 2006

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A.N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Boringhieri, Torino 1979

Th. E. Woods Jr., Come la Chiesa Cattolica ha costruito la Civiltà Occidentale, Cantagalli, Siena 2007