MONACHESIMO E SOCIETA' CIVILE (BIRMANIA-TIBET)

Convegno di Domodossola (14 giugno 2008), in occasione del Vesakh 2008.

 

CHI HA PAURA DEI MONACI?

 

Prima di iniziare il discorso, occorre un chiarimento terminologico: uso consapevolmente la parola “monaci” in un senso molto ampio, per indicare tutta una serie di esperienze che tecnicamente si potrebbero distinguere in “monastiche”, conventuali”, “canonicati di vita comune”, ecc.

Non interessa qui la distinzione in gruppi specifici, ma la comune esperienza di vita “monastica”.

 

“Un monastero è un luogo di pace ed anche un modello di società dove tutto si condivide e nulla è personale, a parte la ciotola e l'abito da monaco.” (Lobsang Sanghye)

 

Detto così, il monastero sembra un bel luogo, un posto di grande importanza per chi ci vive ed anche per chi non vi è mai entrato né mai vi entrerà: certamente, un luogo non minaccioso.

Eppure…

Eppure c’è chi ne ha paura. Possibile?

I monaci non si limitano ad indicare una vita più autentica, trascorsa nella meditazione, nello studio e nella preghiera, cosa che è, già di per sé, di valore inestimabile; ma anche, tante volte, contribuiscono a migliorare la vita quotidiana della gente.

Possiamo pensare a qualche esempio del monachesimo europeo:

ai monaci che bonificano terreni inospitali e li rendono fertili
ai monaci che istruiscono i figli dei contadini che abitano presso il monastero
ai monaci che offrono riparo, dentro le mura del monastero, magari fortificate, in caso di incursioni nemiche
ai monaci esperti di medicina o di farmacia
ai monaci inventori o scopritori (dall’orologio meccanico alle leggi dell’abate Mendel)
ai monaci che, per sete di giustizia e per amore, avviano importanti riforme e si schierano a fianco del popolo sofferente: si possono ricordare almeno S. Gregorio Magno (VI-VII secolo), in Italia, per la sua opera sociale, e, all’altro capo d’Europa, S. Oscar (o Ansgario), del IX secolo, apostolo dei Paesi Baltici, le cui rendite erano tutte spese per la liberazione dei prigionieri e per il sostentamento di poveri, vedove, orfani…

Possiamo pensare a tante altre cose: ma pensiamo adesso, invece, ai monaci buddisti che, per compassione, per un senso di “patire insieme”, escono dai monasteri e si espongono ad arresti, violenze o uccisioni, lottando, di norma pacificamente, per il loro popolo.

Centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il regime birmano, e metà erano monaci. E’ dunque comprensibile che qualcuno possa aver paura dei monaci…

La Cina opprime il Tibet da oltre mezzo secolo: “dopo l’invasione e il genocidio tibetano (1milione 200mila morti) continuano ancora oggi, in quello sfortunato paese, la negazione sistematica della libertà religiosa e la repressione, nel nome del materialismo ateo. È tuttora in corso una deportazione di massa (circa 250mila tibetani) su cui i media occidentali tacciono”. Così recita il testo di un appello, partito, alcuni mesi fa, proprio da alcuni di noi docenti della provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Di fronte a tutto questo, i monaci non possono restare indifferenti. Elevano la loro voce di protesta, uscendo ancora una volta dai monasteri. E facendo ancora una volta paura…

Perché si è a lungo taciuto in Occidente? Ci possono essere varie risposte: forse per timore, forse per opportunismo, forse per ideologia (si veda, tra l’altro, l’appello “Contro i monaci tibetani” di Losurdo e Vattimo)… La condizione del Dalai Lama, del resto, il cui Stato è invaso dalle truppe cinesi non ricorda forse un po’ troppo quella del Papa alla fine dell’Ottocento, quando il suo Stato era occupato dalle truppe del Regno d’Italia?

Ma torniamo al nostro discorso: ebbene sì, c’è chi ha paura dei monaci! E non solo in Asia!

Vediamo qualche esempio, nella storia recente d’Europa.

Cominciamo il nostro breve studio parlando di un sovrano universalmente considerato come un tipico rappresentante dell’Europa dell’Illuminismo, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, e naturalmente Re d’Italia, Giuseppe II, che, nel 1782, con quella che è stata definita un’“indebita intromissione nel campo della podestà strettamente ecclesiastica”, decreta la soppressione degli Ordini contemplativi. E non si tratta di una antipatia personale, perché già prima, all’epoca di Maria Teresa, sono iniziate attività di soppressione di monasteri e conventi.

Motivi delle soppressioni? Ufficialmente, la lotta contro la decadenza morale negli Istituti (e non sarebbe, se mai, più un problema della Chiesa che dello Stato?); ma certamente non mancano motivi economici (i beni degli enti soppressi non vanno, come si potrebbe legittimamente pensare, ad altre società ecclesiastiche, ma sono incamerati dallo Stato). Soprattutto, però, altra motivazione apertamente dichiarata, la soppressione avrebbe favorito il “Pubblico bene”.

Evidentemente, i monaci sono contrari al pubblico bene…

(E chi glielo dice adesso al monaco seduto qui accanto me?)

Ma forse quello austriaco è un Illuminismo atipico, “deviante”?

Diamo allora un’occhiata alla Francia, e vediamo quel che succede durante quella famosa Rivoluzione del 1789 che ha come movente ideale proprio il pensiero dell’Illuminismo: ci sono, all’epoca, alcuni ordini interessanti in Francia: uno è quello dei Cluniacensi, protagonisti della grande riforma della Chiesa a partire dal secolo X. Ma evidentemente sono pericolosi, dal punto di vista dei Rivoluzionari, perché l’Ordine viene soppresso, e l’Abbazia di Cluny viene incamerata dallo Stato: gli archivi vengono bruciati nel 1793, e l’abbazia stessa venduta nel 1798, per farne una cava di pietre (forse è questo che gl’Illuministi intendono per “pubblico bene”…), distruggendo opere d’arte di valore storico, estetico e culturale inestimabile: ma allora quando i Papi rinascimentali usavano i resti romani per le nuove costruzioni facevano bene? Si vede che gli Illuministi pensavano di sì. Pensavano addirittura che i monasteri si potessero vendere un tanto al chilo, o forse al metro cubo! E che cosa avrebbero pensato, gli Illuministi, dei Talebani che distruggevano le statue di Buddha?

Un secondo Ordine veramente molto interessante, in Francia, è quello di Fontevrault, fondato nel XII secolo: si tratta di un Ordine misto, maschile e femminile, in cui, per statuto, a capo di entrambi i rami deve esserci una donna. Evidentemente, questo riconoscimento al “gentil sesso” è troppo medioevalmente paritario per i sani e maschilisti principii dell’Illuminismo: così, con la Rivoluzione Francese del 1789, viene soppresso anche l’Ordine di Fontevrault.

La stessa sorte di soppressione, durante il periodo rivoluzionario, colpisce anche gli altri Ordini monastici presenti in Francia (Certosini, ecc.).

“Libertà, uguaglianza, fraternità”, si proclamava, ma non per i monaci… Del resto, sono contrari al “Pubblico bene”, no?

E Napoleone? Anche lui spaventato dai monaci? Pare di sì: la soppressione degli Ordini viene mantenuta, ed anzi estesa a tutto l’Impero nel 1810: si ordina la soppressione di tutti gli Ordini religiosi, con un editto firmato a Compiègne il 25 aprile: il decreto sopprime tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose eccetto gli ospitalieri e le suore di carità. E Fontevrault? Con Napoleone, l’Abbazia di Fontevrault finalmente contribuisce al pubblico bene, diventando una prigione!

Quanta paura fanno questi monaci…

Ma finalmente c’è la Restaurazione! I tempi sono cambiati, i Re sono ufficialmente cristiani, alcuni, come i Re di Sardegna, addirittura cattolici… E in effetti i monasteri sembrano rinascere.

Ma non con grande apprezzamento da parte di chi è al potere: nel 1848 il parlamento del Regno di Sardegna sopprime vari ordini religiosi, considerati nemici dello Stato e pericolosi per la società, e ne incamera i beni.

Nel 1854-1855, il governo presieduto dal massone Cavour, il governo di colui che aveva detto “Libera Chiesa in libero Stato”, presenta un progetto di legge per la soppressione (e relativo incameramento di beni) degli Ordini contemplativi e mendicanti. Il provvedimento riguarda francescani, domenicani e monache di clausura. Con la nascita del regno d’Italia, le leggi di soppressione vengono naturalmente estese a tutta la penisola.

Anche in Italia, come si può immaginare, le soppressioni causano danni incalcolabili al patrimonio architettonico, artistico, librario e culturale in genere.

A chi è al potere, i monaci fanno davvero paura!

Un modello di società, basato sulla condivisione, sull’amore, sull’interdipendenza, molto apprezzato in altre epoche, quali forse il Medio Evo, non può evidentemente esserlo altrettanto in un mondo che si è dato come valori supremi l’individualismo, l’appropriazione, l’egoismo!

I monaci, se torniamo alla loro storia, fondano monasteri, magari in luoghi isolati, ma poi la gente accorre presso di loro: quanti centri abitati sono sorti intorno a un monastero! I monaci sono, dunque, pietra di scandalo per alcuni, ma anche motivo di richiamo per molti altri.

Però, oltre al movimento dal mondo verso il monastero, ce n’è uno dal monastero al mondo: “Quando, poi, oltre le mura di cinta si leva alto il dolore di un intero popolo oppresso da mille ingiustizie, allora i monaci escono dal monastero e dicono: "Ora tocca a me, a noi, fare qualcosa per lenire quel comune dolore che si è fatto onda lunga ed impetuosa". Tocca a me, è il Risveglio della Mente, Bodhicitta della Compassione. Il dolore, che è così precipitato nel cuore, ora si fa atto concreto, il monaco prende su si sé quel dolore che sale dal mondo.” (Lobsang Sanghye)

E noi troviamo monaci cristiani presenti attivamente nella storia d’Europa, quando i popoli ne avevano bisogno, come sono presenti, ora, davanti al grido dei loro popoli, i monaci della Birmania o del Tibet. Certo, “cristiani e buddisti possono insieme essere portatori di speranza per un mondo pulito, sicuro ed armonioso” (scrivono il Cardinal Tauran, e l’Arcivescovo Celata, il 29 aprile 2008, in occasione del Vesakh).

Ma, forse per questo, anche in questo caso i monaci fanno paura… Chi non si limita a gestire l’esistente, ma è portatore di speranza in un mondo migliore fa sempre paura.

Insomma: illuministi, massoni, liberali, laicisti, comunisti, dittature militari… tutti hanno paura dei monaci, tutti li calunniano, tutti li opprimono: infatti, ci dicono, i monaci sono nemici del progresso!

Ora, che cos’hanno in comune tutti costoro che hanno paura dei monaci? Che cosa temono?

Per saperlo, domandiamoci prima: Che cos’hanno in comune i monaci? Ebbene, i monaci, anche i più diversi, sono accomunati dalla ricerca della verità.

Dunque, è questo che fa così paura: chi vuole imporre al mondo la sua ideologia o il suo potere, di nulla ha tanta paura quanto di uno che ricerchi la verità.

Se noi, invece, non ci siamo fatti arruolare in questo o quello schieramento ideologico, se abbiamo ancora abbastanza apertura mentale da desiderare di essere liberi, e non schiavi di un partito già preso, allora non abbiamo niente da temere dai monaci, anzi, abbiamo da impararne che è possibile una maniera nuova e più autentica di stabilire rapporti e abbiamo da riceverne un forte stimolo alla ricerca della verità, di quella verità che, sola, rende liberi.

 

Marcello Landi