Quid est veritas? Che cos'è la verità?


La domanda di Pilato

   “Quid est veritas?”, ossia “Che cos’è la verità?”. È una celebre domanda di Ponzio Pilato, il quale, però, da quel che ci è dato sapere, non aveva molta fiducia nella verità…
   Pilato è citato da tutti e quattro i Vangeli canonici, oltre che in testi extrabiblici; ma il passo che più riguarda il nostro argomento si trova nel Vangelo secondo Giovanni (18, 28-38): Gesù, ormai al termine del suo periodo di predicazione, è stato arrestato dalle guardie dei capi dei sacerdoti, portato a casa del sommo sacerdote e sommariamente processato. La conclusione è che Gesù debba morire; ma la pena di morte può essere comminata solo dall’autorità romana… Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: "Che accusa portate contro quest’uomo?". Gli risposero: "Se non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato". Allora Pilato disse loro: "Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!". Gli risposero i Giudei: "A noi non è consentito mettere a morte nessuno". Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?". Pilato rispose: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù". Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Gli dice Pilato: "Che cos’è la verità?". E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: "Io non trovo in lui nessuna colpa".
   Ma, nonostante questa dichiarazione, Pilato accetta di mettere a morte Gesù, in nome della politica, per evitare una sollevazione di piazza. Del resto, chi è Pilato? È un funzionario di carriera, interessato al potere, descritto dalle fonti (ad esempio da una lettera dell’ultimo re di Giudea, Erode Agrippa I) come un uomo duro, poco rispettoso della cultura e della religione ebraica, capace di spietate repressioni. Nel passo che abbiamo letto, lo vediamo come uno che domanda “Che cos’è la verità?” e non aspetta la risposta, ma interrompe il dialogo, perché crede che neanche esista una risposta: è uno scettico, insomma. Del resto, ad uno come Pilato lo scetticismo si addice: se la verità non c’è, allora non c’è un criterio per giudicare le scelte di chi è al potere; solo il potere giustifica se stesso, solo il potere decide che cosa si debba o non si debba credere. Lo scetticismo è la base ideale per l’assolutismo! “Dalla verità nasce la speranza” diceva il poeta Norwid nella Polonia del XIX secolo, dominata dall’Impero Russo; i regimi totalitari, invece, per togliere ogni speranza di cambiamento, si fondano sulla negazione della verità. Infatti, “L’interesse per la verità è parte costitutiva della democrazia liberale” (Lynch, il cui testo, significativamente, si chiude con la parola “speranza”).
   Sulla sorte di Pilato ci sono più versioni: forse fu giustiziato da Caligola, forse morì suicida, forse si convertì al Cristianesimo, con l’aiuto della moglie (la Chiesa Copta, ad esempio, lo considera un santo). Quello che conta, per noi, non è scegliere una delle versioni, magari quella che piace di più, ma vedere che tutte hanno qualcosa in comune: anche Pilato provò il peso delle sue stesse teorie, quel peso che era abituato a far subire agli altri, ai Giudei, ai Samaritani, a Gesù, a chi capitava, insomma. Infatti, o lo uccise quel potere che serviva ed a cui aspirava; o si sentì così schiacciato dal binomio potere-scetticismo, si sentì così disperato, da decidere di uccidersi; o capì l’intollerabilità umana della sua posizione e si convertì al Cristianesimo.
   Pilato, quindi, è la testimonianza che senza la verità, o almeno senza la ricerca della verità, senza la fiducia nella verità, non si può vivere. Non per niente, quando accade qualche grave ingiustizia, a tutti noi sorge spontaneo il grido: “Su questo, vogliamo la verità!”.
   Ma lo scetticismo non solo è pericoloso per la libertà ed è esistenzialmente intollerabile, è anche filosoficamente insostenibile, almeno nella sua forma più rigida. In senso forte, infatti, lo scetticismo sostiene che la verità non esiste. Quindi, se ciò è falso, lo scetticismo ovviamente è falso. Ma, se ciò è vero, lo scetticismo è di nuovo falso, perché c’è almeno una verità: che la verità non esiste!
   Nella storia, lo scetticismo in effetti si è sempre dimostrato di corto respiro, come dimostra Agostino, o come si può anche vedere nelle vicende dell’Accademia platonica ai tempi di Filone di Larissa e di Antioco di Ascalona (dopo Arcesilao e Carneade). In definitiva, è anche contrario all’esperienza pratica: come rileva Marconi, noi basiamo le nostre stesse scelte sul presupposto che le affermazioni dei nostri interlocutori siano di norma vere. E, potremmo aggiungere, di norma questo viene confermato. Sarebbe rovinoso se i pannelli stradali, gli orari dei treni e qualsiasi altra fonte possibile di informazioni si rivelasse sistematicamente falsa!
   La forma più moderata dello scetticismo si presenta come relativismo, che attualmente è molto diffuso, ma che non è nuovo: è la posizione secondo cui la verità non è altro che quello che ad ognuno appare (potremmo pensare a Pirandello), posizione già sostenuta nell’antichità da un sofista come Protagora. L’obiezione più diffusa al relativismo, ancora oggi ripresa ad esempio da Michael Lynch, è quella sollevata da Platone: il relativista afferma che ogni opinione è vera; ma così è vera anche l’opinione di chi dice che il relativismo è falso; il relativismo pertanto è inconsistente, si contraddice da solo. Con ciò non si vuol dire, naturalmente, che non esistano punti di vista: ma un conto è dire che esistono punti di vista diversi su una realtà che rimane oggettiva, un conto è ritenere che una realtà oggettiva non esista. Tra l’altro, nota Marconi, non è il relativismo a fondare la tolleranza; se mai, sono i disastri provocati dall’intolleranza!


Amore e verità

   Che radice può avere questa avversione nei confronti della verità? Si può pensare, e giustamente, ad una sfiducia nella ragione umana; ma forse c’è un motivo ancora più profondo, legato in definitiva ad una mancanza di amore...