L’ACQUA COME SIMBOLO*

Pochi cenni senza pretese

   “Quando lassù…” è l’inizio, molto poetico, del poema babilonese che descrive la cosmogonia: il dio Marduk forma il Cielo e la Terra con i due pezzi in cui ha diviso il corpo della dea Tiamat, una divinità che rappresenta l’elemento liquido nel suo aspetto caotico e distruttivo.
   Proprio in seguito a ciò, dal corpo di Tiamat derivano il mondo e la vita…
   L’acqua, come spesso avviene coi simboli, ha dunque un duplice volto: è fonte di vita, è pericolo di morte. “Le acque simboleggiano la sostanza primordiale da cui nascono tutte le forme e alle quali tornano per regressione o cataclisma”, dice Eliade.
   Non stupisce, allora, che Talete, considerato il primo dei filosofi greci, nel cercare il principio di tutte le cose, quella realtà da cui tutto proviene, di cui tutto è fatto ed a cui tutto ritorna, lo abbia identificato proprio con l’acqua. Né stupisce che, nella Bibbia, quando Dio decide di distruggere quasi interamente il genere umano, lo strumento usato sia quello del diluvio (avvenimento peraltro storicamente ben testimoniato anche da tradizioni indipendenti dalle fonti ebraiche).
   Nel suo aspetto periglioso e distruttivo, l’acqua è spesso associata ad un altro simbolo, quello del drago. La stessa Tiamat, se vogliamo, era un drago, ma anche l’Idra di Lerna era, secondo la mitologia greca, un drago dalle molte teste, che viveva nella palude di Lerna, facendo strage di uomini e bestie ed avvelenando l’aria col suo pestifero alito. La seconda fatica di Ercole fu appunto di liberare la regione della città di Argo da questo pernicioso mostro, acquatico come è legato all’acqua l’ambiente delle paludi e come il nome stesso di Idra ci ricorda.
   Contro un drago dovettero anche lottare celebri santi della storia della Chiesa: ad esempio, sono spesso raffigurati nell’atto di uccidere il mostro sia l’orientale San Giorgio, a cui si attribuisce la liberazione della città di Silene, in Libia; sia l’italico San Mercuriale, che liberò, si dice, i dintorni di Forlì, la città di cui fu forse il primo vescovo.
   Che cosa c’entrano i draghi con l’acqua? Come Franco Cardini fa notare, quello del drago è un simbolo molteplice, legato sia alla terra sia all’acqua sia al fuoco sia all’aria.
   Ora, la natura pericolosamente varia del drago ben si adatta ad un luogo altrettanto pericoloso e vario, la palude, dove si mischiano acqua e terra, dove possono apparire fuochi fatui e dove è malsana e pericolosa perfino la stessa aria. Gli elementi vi sono mescolati in modo disordinato, insomma. Quale ambiente migliore per un drago? Spesso, infatti, se ne interpreta l’uccisione come la bonifica di un territorio, cioè con il suo prosciugamento e con l’irregimentazione delle acque. In effetti, il drago di Silene viveva appunto nelle acque di un vicino stagno, mentre è risaputo che, in epoca imperiale romana, non lontano da Forlì si trovavano molti luoghi paludosi, risanati già nel Medio Evo.
   Questi particolari sostengono l’interpretazione della vittoria sul drago come opera di bonifica. Ancora una volta, domare le acque diventa fonte di vita…
   E l’acqua è davvero fonte di vita: dove non c’è acqua non si può vivere. Al contrario, l’acqua, se ben regolata, genera la vita. Dal punto di vista storico, possiamo pensare all’importanza dei fiumi, o del mare, per il sorgere delle civiltà, ed alla necessità di governare il rapporto terra-acqua, pena grandi devastazioni. Se poi ci volgiamo alla Bibbia, troviamo, all’inizio della creazione: che “Lo Spirito di Dio aleggia sulle acque”, che Dio separa le acque sotto e sopra il firmamento, che Dio divide le acque dalla terra asciutta. E’ una potente opera di disposizione secondo ordine e regole. Ne seguirà, infatti, che le acque saranno brulicanti di vita, e che la vita occuperà anche la terra e, in certo modo, il cielo.
   Due annotazioni: Dio separa le acque, come Marduk ha “separato” Tiamat in due? Non esattamente, perché, secondo la Bibbia, Dio ha creato le acque (Salmo 103), mentre, secondo la mitologia babilonese, Tiamat è precedente Marduk.
   Molte religioni, poi, interpretano il rapporto tra acqua e vita in chiave sessuale: la distesa delle acque rappresenta l’elemento femminile; ma si può anche trovare l’idea che l’acqua che cade, la pioggia, rappresenta il seme maschile. Questo, nella Bibbia, non c’è: l’acqua è strumento, non organo sessuale.
   L’acqua, dunque, se ordinata, genera. Ma anche purifica: in molte tradizioni la purificazione avviene mediante bagni, immersioni ed aspersioni. Si pensi al bagno nel Gange per gli Induisti, ad esempio, ma anche, più vicino a noi, alle abluzioni dei rituali ebraici, o, infine, al battesimo cristiano ed alle benedizioni che la Chiesa compie con aspersione di acqua.
   Purificare può voler dire salvare alcuni, ma anche condannare altri. Il popolo ebraico non si salva forse dagli Egiziani che lo inseguono passando attraverso il Mar Rosso? Ma in quel mare gli Egiziani periscono: il che ricorda il duplice aspetto dell’acqua, che, come può salvare così può perdere.
   Dell’Antico Testamento voglio però ricordare anche un episodio più pacifico, che riguarda un non Ebreo: il Siro Naaman, malato di lebbra, ne guarisce immergendosi sette volte nel fiume Giordano, per ordine del profeta Eliseo.
   Approfondendo ulteriormente il discorso, possiamo dire che l’acqua, infine, rigenera. Se l’acqua è un po’ il simbolo della materia prima, ecco che allora la vita nell’acqua nasce e nell’acqua ritorna, ma nell’acqua anche rinasce. La distruzione stessa che l’acqua opera è la condizione per la rinascita: purché vi sia un ordine, una Parola, un Logos. Altrimenti siamo di fronte all’acqua come drago: forza bruta e caos.
   La presenza dell’acqua nel battesimo cristiano tiene conto di tutto questo (e di molto altro), apportandovi una stretta connessione con la morte e la resurrezione di Gesù. Dice San Paolo: “Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione”.
   Ecco allora che l’acqua può venir collegata ad un altro animale, alternativo al drago: il pesce. È noto che il pesce era un simbolo dei primi Cristiani. Causa ne era, da un lato, la vicenda di Giona, altro personaggio legato all’acqua, dato che visse per tre giorni nel ventre di un pesce, dopo essere stato buttato in mare dalla nave su cui viaggiava, per placare una tempesta. Ma, d’altro lato, causa dell’uso del simbolo del pesce sta in un acrostico. In greco pesce si dice “Ichthýs” (ΙΧΘΥΣ), da cui l’aggettivo ittico. Ora, le lettere della parola “Ichthýs” sono le iniziali, in greco ovviamente, di “Gesù cristo Figlio di Dio, Salvatore”.
   Da Tiamat a Cristo, dunque, il nostro breve e lacunoso percorso nella simbologia dell’acqua può forse aver stimolato qualche riflessione. Ma soprattutto, credo, può aver suggerito l’idea che, come di fronte a tanti simboli succede, alla fine, di fronte all’acqua, la scelta è la nostra: violenza o ragione? il caos distruttore o l’ordine del Logos che vivifica? la morte come ultima parola o la Resurrezione?
   Insomma: il Drago o il Pesce?
   Noi da che parte stiamo?

Marcello Landi

*Già pubblicato sulla rivista Alternativa A.