Tra difesa e vendetta

Tutti noi, probabilmente, abbiamo sentito nominare Caino. Fonte è la Bibbia (Genesi 4).

Figlio di Adamo ed Eva, uccide con la violenza suo fratello Abele, perché Dio ha preferito l'offerta di Abele alla sua. Per il fratricidio, il Signore condanna Caino all'esilio, lontano dalla sua famiglia.

Caino teme che tale condanna comporti la perdita di ogni forma di protezione (non esistono ancora gli Stati) e si rivolge a Dio: Tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà. Dio gli risponde: Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte! Poi pone un segno su Caino perché nessuno gli faccia del male.

Il termine vendetta qui, in base al contesto, ha un senso non minaccioso, ma rassicurante: Caino non ha più una famiglia a tutelarlo, quindi sarà Dio stesso a proteggerlo. Ricordiamo che vendetta è etimologicamente legato a vindice, in latino vindex, garante, mallevadore, riscattatore. Dio è in qualche modo garante della vita di Caino. Dio insomma punisce l'omicidio (il fratricidio!), ma tutela la vita dell'omicida. Per Dio, la vita è un valore.

Questo valore è ormai perso in un discendente di Caino, Lamec, che è ancora più violento di lui e dice di sé: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette1. La vendetta qui giunge all'eccesso anche per torti minimi, e Lamec addirittura se ne fa un vanto, presentandosi come il garante di se stesso.

Non si pensi tanto a un uomo particolarmente cattivo: ciò che questa figura esprime è la tendenza alla violenza e alla superbia presente, in varia misura e maniera, in ciascuno di noi. Chi non ha mai detto tra sé e sé: A quello lì dovrei farla pagare cara? Ognuno di noi può essere Lamec... In ognuno di noi si nasconde Lamec.

Proprio per evitare spirali incontrollate e incontrollabili di violenza, con probabili conseguenti faide, i legislatori, già in epoca molto antica, hanno incominciato a regolare i rapporti che si creano a seguito di un'ingiustizia. Ad esempio, in varie culture (in Mesopotamia, in Israele, a Roma...), troviamo il principio “occhio per occhio, dente per dente”. Insomma, una scalfittura non può essere punita con più di una scalfittura e un livido non può essere punito con più di un livido: Lamec va contenuto. È il principio della necessaria proporzionalità tra pena e colpa che anche oggi riconosciamo e che vale anche per la difesa legittima, come poi vedremo.

Poter parlare di proporzionalità richiede di disporre di una gerarchia di valori: ad esempio, conta di più un bene materiale o una vita umana?

Tommaso d'Aquino (XIII secolo) si pone questo genere di problemi. Potrei esemplificare così: se io sono in estrema necessità, se sto, diciamo, letteralmente morendo di fame, e se vicino a me c'è un albero di mele che non è il mio, posso prenderne una e mangiarla? Certamente posso! In questo caso, non si tratta di furto, perché il diritto alla vita prevale sul pur legittimo diritto alla proprietà. Diciamo che, almeno in linea di principio, il proprietario, se avesse conosciuto le mie condizioni, mi avrebbe dato personalmente la mela!

La questione è affrontata nel più ampio quadro del diritto naturale, in latino ius naturale, della cui esistenza, basata sulla comune natura razionale degli esseri umani (non sulla religione), Tommaso è un celebre sostenitore. Di tale diritto le leggi positive devono tener conto.

Per Tommaso, la legittima difesa è basata sul diritto naturale ed è lecita purché l'atto non sia sproporzionato al fine (la sproporzione rispetto al fine è sempre errata, per qualsiasi atto): ad esempio, non posso sostituirmi alla pubblica autorità nel decidere di “punire”, a modo mio, l'aggressore.

Va chiarito che qui “diritto” comprende sia quelli che noi chiamiamo diritti sia i doveri. Non per niente, l'articolo 2 della nostra Costituzione, che si richiama alla tradizione giusnaturalista (ossia del diritto naturale), recita: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Come si vede, si citano insieme i diritti inviolabili e i doveri inderogabili: il diritto, lo ius, appunto.

In età moderna, il pensiero di Tommaso è ripreso da John Locke (XVII secolo), per contrastare l'assolutismo. Perciò Locke è considerato il fondatore del liberalismo moderno: secondo lui, lo Stato nasce per difendere i diritti del cittadino: la vita, la libertà, la proprietà. Naturalmente, lo Stato richiede la rinuncia a farsi giustizia da sé (giustizia che peraltro spesso ci risulterebbe difficile: prevarrebbe semplicemente il più forte). Lo Stato diventa il mio garante.

Anche per Rosmini, le famiglie sono spinte alla convivenza civile con altre da un principio di legittima difesa dalle violenze (interne o esterne alla società che siano), ma, se vi è volontà di offendere altri, non vi è più legittimità.

Spetta allo Stato, quindi, il fare giustizia (iustitia), cioè trovare quel che è secondo lo ius.

Anche a questo fine e sempre per ridurre le occasioni di violenza (oltre che per affermare la propria autorità), in Europa gli Stati moderni conducono un lungo e contrastato processo volto ad un complessivo disarmo dei cittadini, nobili compresi, col fine di lasciare le armi alle sole forze dell'ordine (salvo il caso di particolari licenze).

Superato ormai l'istituto della vendetta privata, resta un problema: lo Stato, cui spetta prevenire e reprimere, non può essere presente sempre e dovunque: se ho subito un torto, certamente non mi vendicherò da me e chiederò allo Stato di ristabilire la giustizia; ma, se vengo assalito, è naturale che io, di fronte a un pericolo attuale, cerchi di difendermi come posso. E il diritto lo riconosce.

In tal senso, la difesa è legittima, ossia è riconosciuta dalla legge: in particolare, se è proporzionata all'offesa, è già sempre legittima; non lo è più se eccede i limiti della difesa stessa, se diventa volontà di offendere a mia volta o addirittura una forma di vendetta privata.

La celebre raccolta giuridica del XII secolo Concordantia discordantium canonum, meglio nota come Decretum Gratiani, sotiene che la difesa sia legittima se: l'aggressione è ingiusta (ad esempio, non è legittima difesa la resistenza alle forze dell'ordine), il pericolo è attuale, l'atto con cui ci si difence è proporzionato all'offesa. Pertanto, excedere modum in defendendo è penalmente rilevante, anche se è chiaro che si devono valutare le particolari condizioni psicologiche dell'aggredito.

Prendiamo due casi:

1) io rientro in casa (o mi sveglio in piena notte) e trovo un ladro. Questo, vistosi scoperto, mi assale: per difendermi, cerco di fermarlo come posso e, non volendo, lo uccido (questo caso si complicherebbe se, a un dato momento, pur rendendomi conto che potrei fermarlo senza ucciderlo, preferisco ammazzarlo. Ma è meglio non introdurre nel discorso troppe variabili);

2) nella stessa circostanza di prima, il ladro subito fugge. Io, che magari sono un buon tiratore, prendo un fucile o una pistola, vado alla finestra o sul terrazzo e, per punirlo di aver violato il mio spazio privato e di aver messo a soqquadro casa mia, nonché per recuperare quel che può avermi rubato, gli sparo e lo uccido. Lamec avrebbe fatto così! Il Lamec in noi vorrebbe far così...

Moralmente, sono due comportamenti opposti, e anche la valutazione giuridica coglie le differenze. Nel primo caso, la morte dell'altro non è cercata: probabilmente io sono molto dispiaciuto che sia andata così e mi sento in colpa. Nel secondo, il mio atto non è più una difesa, è una vendetta. Naturalmente, possiamo valutare il turbamento emotivo, la passione, l'eventuale mancanza di lucidità, tutto quel che è giusto considerare e che magari risulta in tutto o in parte scriminante... (La giustizia richiede sempre l'equità), sicché casi che astrattamente sono molto diversi presentano circostanze tali da rendere molto sfumato il confine fra difesa e vendetta.

Al di là della valutazione del singolo caso, però, quel che conta è che non possiamo considerare normale che chi sorprende un ladro lo uccida:

1) perché non possiamo mettere sullo stesso piano il valore etico del diritto di proprietà con quello del diritto alla vita (e rimanderei a Tommaso), altrimenti saremmo di fronte ad una chiara sproporzione;

2) perché sarebbe molto pericoloso per tutti i cittadini. Immaginiamo che diventi prassi abituale che chi sorprende un ladro lo uccida: che farà il ladro colto sul fatto? Fuggirà, pur convinto in cuor suo che il derubato gli sparerà dietro? O cercherà di ammazzarlo per primo? È chiaro quel che l'istinto di sopravvivenza gli suggerirà! Ed è pure chiaro che non dobbiamo andare in questa direzione.

Se poi si producesse davvero un quadro del genere, diventerebbe sempre più forte la pressione sui cittadini a procurarsi un'arma: non avere in casa una pistola sarebbe fonte di insicurezza. Il che probabilmente potrebbe far piacere ai fabbricanti e venditori di armi, ma non porterebbe certo a migliorare la qualità della vita.

In una società che funzioni bene viene scoraggiato ciò che tende ad aumentare i livelli di violenza (abbiamo detto che, idealmente, le armi andrebbero riservate alle sole forze dell'ordine) e incoraggiato invece ciò che favorisce la solidarietà.

Insomma, la domanda di fondo è: che tipo di società vogliamo? Che tipo di civiltà vogliamo?

Purtroppo, come già in altri casi, anche per la legittima difesa il dibattito in corso tra varie forze politiche si concentra su un sintomo e perde di vista le cause. Se si pensa che siano in aumento furti e rapine, bisognerebbe chiedersi il perché e lavorare per diminuire il disagio sociale, affrontando il problema alla radice. Lo Stato deve proteggere i cittadini: è suo compito! Se non riesce, ovviamente bisogna “fare da sé”, ma è segno di una sconfitta per lo Strato, sia chiaro!

Ma, oltre alla repressione, deve anche impegnarsi sulla prevenzione. Che cosa spinge una persona a darsi alla delinquenza? Questa è la domanda, qui bisogna lavorare.

Probabilmente ci sono problemi socio-economici (sfruttamento, neoliberismo) e valoriali (molte sono le cause dei guasti sociali odierni, ma certamente una è che per troppo tempo si è insistito solo sui diritti, trascurando i doveri).

È vero che è più complesso lavorare sulle cause che dibattere sugli effetti, ma, se davvero c'è un incendio, si devono spegnere le fiamme, non disperdere il fumo col ventilatore!

 

MARCELLO LANDI

1Per i riferimenti biblici, si veda Bibbia CEI 2008, Genesi 4.