SU UN POSSIBILE CARDINALATO FEMMINILE

   Papa Francesco più di una volta(1) ha sottolineato che è andata crescendo la responsabilità e la partecipazione della donna alla vita della società civile e della Chiesa, auspicando anche che possano ulteriormente espandersi la presenza e l’attività delle donne.
   A proposito di questa maggiore partecipazione, da parte di qualche commentatore è stata anche avanzata l’idea di una possibile apertura del cardinalato alle donne.
   Non sono mancate, com’era prevedibile, le polemiche, ma la discussione va ricondotta al piano suo proprio: non si tratta, a quanto pare, di un problema teologico, come potrebbe essere la questione dell’ordinazione presbiterale femminile, ma si tratta di un problema di governo, e quindi di diritto canonico.
   Vediamo il seguente ragionamento teologico.
   Come nota, chiarisco solo che l’espressione “possono essere”, che sotto ricorrerà, indica non una possibilità o una facoltà prevista dall’attuale Codice di Diritto Canonico, ma la possibilità che il Diritto Canonico stesso sia modificato in un certo modo, senza che questo comporti particolari problemi dottrinali o teologici.

   PREMESSA MAGGIORE. I diaconi possono essere Cardinali.

   Secondo il diritto canonico, “il Collegio dei Cardinali è distribuito in tre ordini: episcopale, […] presbiterale e diaconale”(2).
   Ora, già nell’Alto Medio Evo si parla di Cardinali e dei tre ordini in cui essi si distinguono.
   La situazione, in origine, si presenta così:
“Cardinali Vescovi” sono detti i Vescovi delle Diocesi suburbicarie di Roma: residuo di ciò è che ancora ai giorni nostri i Cardinali Vescovi sono titolari di una Chiesa suburbicaria;
“Cardinali Presbiteri” sono detti i titolari delle più antiche Chiese di Roma, dette “Titoli”, in latino Tituli: costituiscono l’ordine storicamente più numeroso;
“Cardinali Diaconi” sono detti i responsabili dell’amministrazione del Palazzo del Laterano, dei vari dipartimenti di Roma e soprattutto della cura dei poveri.
   Come è comprensibile, per diventare Cardinale Vescovo si deve appunto o essere già vescovo o avere i requisiti per essere ordinato tale; e così per diventare Cardinale Presbitero e Cardinale Diacono. Un presbitero può comunque diventare Cardinale Diacono; e un vescovo può diventare Cardinale Presbitero o Cardinale Diacono.
   Il risultato è che, nei secoli, i “Cardinali Vescovi” sono sempre vescovi, i “Cardinali Presbiteri” sono a volte presbiteri a volte vescovi; i “Cardinali Diaconi” sono a volte diaconi, a volte presbiteri a volte vescovi.
   Nel 1059, Niccolò II, nel corso della lotta per la libertas Ecclesiae dal potere imperiale, affida ai Cardinali l’elezione del Sommo Pontefice.
   L’ultimo “Cardinale Diacono” che sia anche effettivamente un diacono risulta essere stato Teodolfo Mertel (1906-1899).
   Mertel, laureatosi in utroque iure nel 1828, nel ’47 diventa uditore della Sacra Rota pro provincia Romandiola, subentrando a Giuseppe Bofondi, nominato Cardinale Presbitero e futuro Segretario di Stato, noto per aver formato il primo governo dello Stato Pontificio che, dopo secoli, comprendesse anche diversi ministri laici. È l’epoca delle riforme di Pio IX: anche Mertel ne è coinvolto, e viene chiamato a partecipare alla stesura dello Statuto fondamentale pel Governo temporale degli Stati di Santa Chiesa (1848), che il Papa firma. Purtroppo, l’assassinio di Pellegrino Rossi e la fuga del Papa mettono fine all’esperimento. Mertel, però, al ritorno dei Pio IX a Roma, continua a collaborare col governo pontificio. Nel 1858, viene così nominato Cardinale Diacono di Sant’Eustachio; si noti che, non essendo ancora nemmeno diacono, poco dopo la nomina riceve anche l’ordinazione diaconale. E diacono rimane per tutta la vita.
   Solo nel 1962 Giovanni XXIII stabilisce che i Cardinali debbano essere tutti vescovi, ma la norma non sarebbe tassativa: infatti, “ancora oggi alcuni Cardinali”, secondo l’enciclopedia cattolica Cathopedia, “solitamente perché in età avanzata al momento della nomina e perché privi di effettive responsabilità pastorali, rifiutano l'Ordinazione Episcopale”(3).
   Ora, la rilevanza del discorso non sta, com’è evidente, nell’ultima nota, per quanto essa non sia priva di interesse; sta invece nella considerazione che, nella lunga storia della Chiesa, o anche solo nella non breve storia del Cardinalato, la Chiesa ha sempre considerato possibile, tranne in tempi recentissimi, che i Cardinali non fossero tutti ordinati vescovi, ma che fosse invece realmente possibile divenire cardinale sia per come vescovo sia come presbitero sia come diacono.
   Il che dimostra che basta una semplice riforma giuridica, ossia basta ritirare il provvedimento di Giovanni XXIII e modificare opportunamente il Codice di Diritto Canonico, per ristabilire, o restaurare se si preferisce, questa possibilità.

   PREMESSA MINORE. Le donne possono essere diaconi.

   Questo punto potrebbe risultare difficile da sostenere, se un passo di San Paolo non ci venisse in soccorso. Nella Lettera ai Romani, il capitolo 16, secondo la più recente versione della CEI (del 2008) comincia con queste parole: “Vi raccomando la nostra sorella Febe che lavora al servizio della chiesa di Cencre. Accoglietela nel nome del Signore, come è bene che si faccia tra credenti, e aiutatela in qualsiasi cosa abbia bisogno di voi. Anch'essa ha aiutato molta gente, e anche me”.
   L’espressione “lavora al servizio della chiesa di Cencre”, nella precedente versione della CEI (del 1974) era “diaconessa della Chiesa di Cencre”.
   Come si vede, c’è un problema di interpretazione. Ma la parola usata da San Paolo è chiara: si tratta del termine “diacono”, nella identica forma che viene usata per i maschi: solo l’articolo distingue ὁ διάκονος, “il diacono” da ἡ διάκονος, “la diacono”. In questo senso, se si vuole, si può anche usare il termine “diaconessa”, purché lo si intenda solo come femminile di “diacono”, allo stesso modo, ad esempio, in cui usiamo “professoressa” come femminile di “professore”, senza che il genere grammaticale cambi il significato del termine.
   Del resto, se Paolo avesse invece voluto dire che Febe è al servizio della Chiesa, avrebbe usato il verbo διακονέω (“diaconéo”), non il sostantivo διάκονος (“diacono”), che quindi indica un incarico, un ben preciso ministero, quello appunto del diacono.
   Ora, se Febe poteva essere un diacono, né sembra che questo creasse problemi, se ne ricava che tuttora una donna può essere nominata diacono: non si vedono impedimenti scritturali né, di conseguenza, teologici o dottrinali, visto che non stiamo parlando né dell’ordinazione presbiterale né tantomeno di quella episcopale.
   Molto interessante, inoltre, è il passo sui diaconi contenuto nella Prima Lettera a Timoteo (3,8-13). Nella versione CEI 2008 suona: “8Allo stesso modo i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare, moderati nell'uso del vino e non avidi di guadagni disonesti, 9e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. 10Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. 11Allo stesso modo le donne siano persone degne, non maldicenti, sobrie, fedeli in tutto. 12I diaconi siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie. 13Coloro infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore e un grande coraggio nella fede in Cristo Gesù.”.
   Il versetto 11, in particolare, non sembra parlare, come a volte si è pensato, delle mogli dei diaconi, dato che di coniugi si parla solo nel versetto seguente. E’ più ragionevole ritenere che si indichino, qui, le qualità delle donne da ammettere al diaconato, come sopra si parlava delle qualità dei candidati maschi.
   Ad ulteriore conferma della possibilità di donne diacono, si può anche notare che nella Chiesa antica, come fonti diverse testimoniano, tale ministero era presente. Infatti, anche un testo non “militante”, ma di impostazione accademica, come la Nuova Storia della Chiesa, di Jean Daniélou e Henri Marrou, sostiene che le donne diacono fossero “messe sullo stesso piano dei diaconi” e ritiene probabile “un’ordinazione delle diaconesse con imposizione delle mani”(4).
   Tutto questo dimostra che la Chiesa, senza tradire se stessa ed il proprio mandato, può, cambiando opportunamente il diritto canonico e con lo stesso criterio col quale ha aperto il diaconato permanente a uomini sposati, ordinare al diaconato delle donne.

   CONCLUSIONE: Le donne possono essere Cardinali.

   La conclusione del ragionamento, a questo punto, non dovrebbe risultare problematica: se non ci sono impedimenti scritturali, teologici o dottrinali né alla nomina a Cardinale di un diacono né alla consacrazione a diacono di una donna, ne viene appunto che una donna, già ordinata diacono o tale da avere (secondo un rinnovato Codice di Diritto Canonico) le caratteristiche per esserlo, potrebbe anche accedere al cardinalato, s’intende nell’ordine dei Cardinali Diaconi.
   Ricondotta così la questione al suo ambito proprio, cioè a quello del diritto e delle responsabilità di governo, non rimane che lasciare la sua pratica determinazione a chi tali responsabilità detiene, sia nel senso di un mantenimento dell’attuale sistema di norme sia nel senso di un’eventuale modifica.

NOTE
(1) Ad esempio, nel Discorso ai partecipanti al Congresso Nazionale promosso dal Centro Italiano Femminile, del 25 gennaio 2014.
(2) “Cardinalium Collegium in tres ordines distribuitur: episcopalem, […] presbyteralem et diaconalem”, Codex Iuris Canonici, Can. 350, n. 1.
(3) Cardinale, in Cathopedia [http://it.cathopedia.org/wiki/Cardinale].
(4) Cf. J. Daniélou – H. Marrou, Nuova Storia della Chiesa, Marietti, Torino 1976, pp. 208-209. Si può anche vedere: M. J. Aubert, Il diaconato alle donne? Un nuovo cammino per la Chiesa, Paoline, Cinisello Balsamo 1989.


MARCELLO LANDI