UNIONE EUROPEA. COME SBAGLIARE L’INNO

 “Sbagliare l’Inno” è un’espressione che si presta a varie applicazioni ed interpretazioni.

   In un primo caso, si può immaginare un contesto del seguente genere. Un’orchestra esegue un concerto comprendente varie composizioni, tra le quali vi è anche l’Inno nazionale. Tutto risulta ineccepibile, tranne una cosa: si tratta di un errore, una stonatura o un falso tempo, proprio nell’Inno. Alla fine, quando ad uno dei musicisti si chiede come sia andata, ci si può sentir rispondere qualcosa del tipo: “Tutto benissimo! La vergogna, però, è che abbiamo sbagliato l’Inno!”. Questo tipo di errore può essere fonte di imbarazzo per l’orchestra, ma ha scarsa, o meglio nessuna, rilevanza politica, a meno che non sia appositamente voluto per una qualche forma di protesta.

   Un’altra situazione potrebbe essere politicamente più significativa: immaginiamo che, per un importante avvenimento internazionale, si debba eseguire l’inno di un Paese: malauguratamente, l’orchestra non esegue l’inno giusto. Anche qui si può dire, anzi perfino esclamare: “Hanno sbagliato l’Inno!”. La cosa può avvenire per semplice ignoranza: si crede ad esempio che Volare sia l’inno nazionale italiano e come tale lo si esegue (pare sia effettivamente successo, in passato); oppure viene eseguita la Marcia Reale invece dell’Inno di Mameli soltanto perché non si sa che in Italia è cambiata la forma istituzionale e di conseguenza l’Inno. Ma ciò può anche avvenire volutamente: sonando la Marcia Reale, in particolare, si potrebbe dichiarare fedeltà alla Monarchia e dispregio per la Repubblica. E questo potrebbe avere risvolti politici anche gravi.

   Infatti, in politica i simboli sono importanti, come la storia insegna e come i vari regimi, sia democratici sia dittatoriali, ben sanno.

   Per questo, la decisione di adottare come inno ufficiale una composizione invece di un’altra ha un valore fondamentale. E qui c’è il terzo modo di applicare l’espressione “sbagliare l’Inno”: in questo caso, l'errore è tutto politico e consiste nello scegliere come inno ufficiale una composizione in realtà inadatta od inopportuna. Infatti, scegliere un inno inappropriato può comportare un effetto di comunicazione, di educazione e perfino di tendenza politica diverso da quel che si voleva. Sbagliare l’Inno in questo senso, ossia sbagliarne la scelta, può snaturare l’idea che un popolo ha, o si fa, di se stesso.

   Nei primo anni del XXI secolo, si sta diffondendo in Europa la sensazione che i Tedeschi tendano a pensare che l’Unione Europea sia “cosa loro”, sia, cioè, una sorta di ingrandimento dello spazio tedesco. Che cosa può averli indotti a pensarlo?

   Forse tante cose, alcune sul piano reale altre sul piano simbolico; tra queste, certamente ha avuto importanza anche il fatto che si sia pensato di scegliere come inno europeo l’Inno alla Gioia di Beethoven!

   Perché?

  La composizione di Ludwig van Beethoven è tratta dal quarto ed ultimo movimento della sua Nona Sinfonia, o Sinfonia Corale. Corale è detta appunto poiché tale movimento include passi cantati, fra cui l'ode An die Freude, ossia Alla Gioia, di Johann Christoph Friedrich von Schiller, che la scrisse nel 1795 e la pubblicò nel 1796. La Sinfonia di Beethoven è invece del 1824.

   Nel 1972, il tema dell'Inno alla gioia di Beethoven fu scelto come inno dal Consiglio d'Europa, mentre, nel 1985, fu scelto come inno dell'Unione europea dai capi di Stato e di governo dei paesi membri. Accortamente, si decise di precisare che si sceglieva il tema musicale, non le parole!

   Resta però il fatto che chiunque ascolti l'Inno europeo e cerchi informazioni su di esso, non può fare a meno di sapere che si tratta di un'opera composta da un tedesco, Beethoven, che ha messo in musica una poesia scritta da un poeta tedesco, Schiller, in lingua tedesca, An die Freude.

   Di fronte a questa manifestazione di germanicità al cubo, diventa facile capire che, non dico la ragione, ma il sentimento dei tedeschi sia che l'Europa appartenga a loro!

   Il problema, quindi, evidentemente non è che Beethoven sia nato a Bonn anziché in una qualsiasi località di un altro Stato, ma è che il tema scelto è troppo legato, ed in almeno tre modi, ad un unico Paese.

   La sigla dell’Eurovisione, come esempio contrario, è invece molto interessante. In quel caso fu scelto il tema iniziale del Te Deum di Marc-Antoine Charpentier, composto sul finire del XVII secolo: la musica era di un francese, mentre il testo di riferimento risulta di autore incerto, tanto che potrebbe essere di origine africana, italiana, slava…; in ogni caso, era in lingua latina, l’unica lingua veramente europea che il Continente abbia mai avuto.

   Si nota il ben diverso respiro della scelta.

   Quanto all’autore dell’inno europeo, data l'importanza dell'Italia nella storia della musica europea ed occidentale, si poteva anche essere ipotizzare la scelta di un Italiano: nessun esperto di storia della musica se ne sarebbe stupito! In fondo, la musica, all’Europa ed all’Occidente, è stata insegnata dagli Italiani, così che parole come andante, allegro, trio e via dicendo sono note in tutto il mondo. Di certo, però, proporre, ad esempio, un tema di Monteverdi composto per un testo, in lingua italiana, di Petrarca o di Tasso, o qualcosa del genere, avrebbe suscitato giuste perplessità.

   Queste stesse perplessità sorgono, e dovevano sorgere nei politici degli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, di fronte all'Inno alla Gioia di Beethoven, un inno a cui non si può rimproverare nulla, se non che è inadatto per un insieme di popoli che si voglia considerare qualcosa di diverso da una semplice appendice della Germania.

   L’Europa, insomma, ha decisamente sbagliato l’Inno: un notevole errore politico, preludio a tanti altri che purtroppo abbiamo visto in seguito.

   Ma si può ancora sperare che, sia sull’inno sia su ogni altra questione, si faccia ancora in tempo a trovare rimedio, per un’Europa più democratica, più giusta e più unita.


 

Marcello Landi